- Abbiamo scelto di venire in Libano incuriositi dalle distese di cedri e dallo skyline moderno di Beirut,
- dalla storia che lo ha messo in ginocchio e dalla cucina che è una delle mie preferite.
- Siamo atterrati in piena notte con la pioggia.
- Abbiamo dormito 3 ore perché la voglia di scoprire questo paese era troppa.
- Ci siamo strafogati di hummus a colazione e siamo partiti verso sud, alla volta di Sidon.
- Tra castelli in mezzo al mare, souk pieni di spezie, tessuti, saponi
- e cavi elettrici sospesi, sotto un sole cocente ed in mezzo ad un traffico assurdo siamo arrivati a Tyre
- – che è patrimonio dell’Unesco ed ora è controllata dalle Nazioni Unite – ed infine a Maghdouche.
È un paese assurdo, a momenti un flash, ma affascinante da morire.
Siamo passati dal grattacielo di 40 piani con piscina sul tetto- alla macchina anni ‘50 che sfreccia on the road modello caffettiera.
Dalle boutique di Gucci e Chanel- a quintali di immondizia che non basterà una vita per smaltirla.
Controlli e posti di blocco ad ogni km.
Metal detector in hotel e nei centri commerciali ma una vita notturna NY style.
Beirut è decisamente giovane e viva.
Si percepisce la voglia di crescita, di sviluppo, di rinascita.
Siamo usciti a cena a piedi,- passeggiando tra palazzi distrutti ma circondati da grattacieli nuovissimi e illuminati a giorno.
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È scoperta. -
È sorpresa. -
È il viaggio!
- Il Libano è un museo a cielo aperto e
- Beirut è costruita a strati sulle rovine di fenici, bizantini, romani.
- 18 religioni con culture diverse in un paese il cui nome deriva da laban – latte –
- per via della somiglianza tra il Monte Libano,
- massiccio montuoso coperto di neve d’inverno, e il colore del latte.
- Palazzi che svettano verso l’alto e pompe di benzina che scendono verso il basso.
- Dopo la guerra c’è stata una corsa alla ricostruzione.
Il porto è nuovissimo.
Una passeggiata sul lungomare con uno highline che sembra di stare a Singapore.
Abbiamo cenato al Babel, a due passi del mare,- che se vi dovesse capitare di passare di qui, una sosta dovete farla.
Una mattinata passeggiando nella Beirut antica, dove si alternano palazzi bombardati,- trincee a bordo strada e grattacieli nuovi di zecca ed una serata nella nightlife libanese che è proprio come si racconta: viva.
Io mi sento sicura qui.
In molti mi hanno chiesto perché ho scelto il Libano.
È il mio bisogno di viaggiare e di scoprire che mi porta ad avere nuovi occhi- ogni volta che arrivo in un posto nuovo.
È la necessità di sentirmi a casa ovunque nel mondo.
È il desiderio di crescere e di lasciare un segno,- sia pure un selfie sfuocato in una serata pressoché perfetta.
- In Libano ci sono mimose in fiore e ficus ad angolo, si canta Toto Cutugno all’ora dell’aperitivo
- e si fuma nei ristoranti che se non ti fai almeno un narghilè a pasto non sei nessuno!
- Più di quindici milioni di libanesi hanno lasciato la loro terra durante la guerra per non farci più ritorno.
- I palazzi bombardati di Beirut e mai più ricostruiti sono di proprietà di qualcuno
- che probabilmente non li reclamerà mai.
- Qui sono rimasti in quattro milioni circa più un paio di milioni di rifugiati.
In questi giorni abbiamo battuto il Libano da nord a sud, lungo la costa,- fino a Byblos, la città più antica al mondo ancora abitata.
Abbiamo camminato tra rovine romane distese accanto al mare e souk pieni di spezie e tessuti colorati.
Abbiamo visitato Jeita, la grotta più importante e più bella tra le 500 grotte sparse in tutto il paese.
La grotta nord a piedi, quella sud in barchetta.
Un’umidità che mi si è sciolta la cofana che tenevo in piedi con tanta cura.
Abbiamo bevuto un blanc de blanc delle terre libanesi accompagnandolo con quantità industriali di hummus.
Abbiamo fatto scorta di crema al pistacchio e dolcetti al miele, di kajal nero e saponi all’olio d’oliva.
Abbiamo dormito pochissimo e camminato tantissimo.
Abbiamo acceso una candela ad Harissa, su in cima, ascoltando i racconti di chi è stato adolescente in guerra.
Abbiamo pregato.
Abbiamo respirato.
Abbiamo riso fino alle lacrime.
Abbiamo vissuto.
Abbiamo viaggiato!
- Del Libano non dimenticherò l’hummus morbidissimo
- e perfettamente impiattato che neanche un architetto.
- La pita/pane arabo/azzimo senza lievito che con questa scusa ne mangi 12 fettine ed è subito effetto carboidrato.
- Le ceste di frutta a fine pasto modello banchetto medievale e quei cachi piccolini e morbidosi che ho trovato solo qui.
- Il lungomare la domenica, incasinato come le strade di Beirut con quel crazy way to drive che li contraddistingue.
- I taxi ad cazzum: a fine corsa guardano l’autoradio e sono sempre 20.000 lire libanesi,
- per andare ovunque e comunque.
I palazzi bombardati ed i grattacieli modello Trump Tower accanto.
La storia fatta di città sommerse, di fenici, bizantini e romani.
I campanili delle chiese accanto ai minareti delle moschee.
I racconti di guerra dei miei coetanei: noi che negli anni ‘80 ballavamo la disco music- e loro che schivavano le bombe.
I controlli ed i posti di blocco ad ogni km.
I metal detector in hotel e nei mall ma una vita notturna NY style.
La gentilezza e la fierezza dei libanesi.
Le poche ore di sonno perché anche questa città non dorme mai- e per stare al passo tocca fare altrettanto.
I nostri selfie.
Le nostre risate.
Le nostre chiacchiere in terrazza a notte fonda degustando thè al posto del gin tonic.
I tramonti meravigliosi.- È stato un viaggio nettamente diverso dagli altri, pieno di emozioni contrastanti e di sorprese.
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Torno a casa con la certezza che ci rivedremo e con la speranza che il cedro che pianterò nel mio giardino -
cresca rigoglioso come quelli che popolano le vallate libanesi!