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Sanremo – Una Storia Tutta Italiana – Il Libro!

      Parliamo di Sanremo. La vedete la mia faccia da scema nella foto? Manca meno di una settimana ed io sono prontissima!         Per chiarire…

 

 

 

Parliamo di Sanremo.

La vedete la mia faccia da scema nella foto?

Manca meno di una settimana ed io sono prontissima!

 

 

 

 

Per chiarire qualsiasi dubbio in merito,

io AMO Sanremo.

Amo l’atmosfera che si crea con settimane di anticipo.

Amo il gossip festivaliero del chi veste chi, chi pettina chi,

chi sta con chi, chi vincerà e chi successo avrà.

E poi amo i fiori.

I fiori di Sanremo.

Il mio gruppo di ascolto è lo stesso da anni.

Pochi ma buoni.

Io e Sara.

E Lorena, ogni anno in una città diversa, in collegamento Whatsapp!

Non ci siamo scelte per condividere 5 lunghe serate insieme, è capitato;

semplicemente siamo le uniche che lo guardano,

snobbate da fidanzati, mariti, parenti ed amici.

Tutti contro di noi.

Tutti contro Sanremo.

Ma noi non molliamo anche quando tra i Big non c’è Albano.

Anche se non presenta Gianni che per noi è cosa gravissima.

Lo scorso anno ho avuto la fortuna di conoscere Mauro Gliori:

medico di mestiere e autore de

“Sanremo. Una Storia Tutta Italiana”

insieme e Dario Salvatori, che di Sanremo se ne intende.

 

 

Ebbene,

ci siamo incontrati a casa sua grazie ad amici comuni,

nella bellissima Versilia che d’inverno conserva comunque il suo fascino.

Uno spritz aperol per entrare subito in sintonia e via di racconti.

Mauro è poliedrico: dipinge, ama la musica e gli animali ma soprattutto ama Sanremo.

La quantità enorme di appunti che ho raccolto durante quel

pomeriggio passato con lui che mi ha travolto con i suoi meravigliosi racconti

sanremesi è enorme.

 

 

 

Che il Festival della Canzone Italiana ebbe il suo primo battesimo

il 25 agosto del 1948 alla Capannina del Marco Polo di Viareggio lo sapevate?

Che fino al 1976 la sede del Festival era il Salone delle Feste del Casinò di Sanremo

e non il famoso Teatro Ariston con il suo temutissimo palco vi era noto?

Che Nilla Pizzi occupa tutti e tre i gradini del podio nel 1952 vi pare possibile?

Ebbene, se tutti questi aneddoti vi incuriosiscono,

non potete non leggere questo libro che, come una Bibbia,

ripercorre la storia del Festival di Sanremo,

dal 1951 quando si risolveva tutto in una sola serata in radio

fino alle 5 dirette in mondovisione su Rai 1.

Perchè non parla solo di musica ma racconta anche tutto ciò che sta intorno

a questo grande evento che è il Festivàl.

E’ pieno di aneddoti,

racconti del back-stage,

curiosità e spigolature

( quando avrete in mano il libro, amerete le sue spigolature, ne sono certa! )

 

 

 

Leggere questo libro mi ha fatto pensare che il bello di Sanremo, in fondo, è questo:

sono passati decenni,

siamo cresciuti

e tanti di noi ancora si ritrovano a guardare un programma che ha più di 60 anni.

Perchè la musica è gioia,

è allegria,

è felicità,

è leggerezza.

La musica non ha età.

Sanremo non ha età.

Lode a Sanremo, nonostante tutto!

 

2 commenti su Sanremo – Una Storia Tutta Italiana – Il Libro!

Alessandra Pierelli e la sua arte!

    Alessandra Pierelli io la amo. Lo dico subito. Prima di iniziare una qualsiasi descrizione seria. Prima di parlare delle sue tecniche. Prima di parlare della sua arte. Prima…

 

 

Alessandra Pierelli io la amo.

Lo dico subito.

Prima di iniziare una qualsiasi descrizione seria.

Prima di parlare delle sue tecniche.

Prima di parlare della sua arte.

Prima di parlare di lei.

 

Incontrata ad una cena vista mare,

il caso ci ha messe sedute una accanto all’altra

ed è scoccata immediatamente la scintilla.

Quella scintilla che ti fa dire: 

” Cavolo, mi sembra di conoscerla da una vita! “

 

 

 

 

Raccontarla è cosa ardua perchè la sua è veramente una Storia.

Parlano le sue opere, i suoi colori, le sue scelte.

Se volete scoprire di più potete andare sul suo sito.

Dopo aver letto questa intervista dove ci ha aperto il cuore.

 

 

Alessandra Pierelli Art

 

 

 

 

Alessandra, dalle Marche passando per l’Umbria per approdare a Trieste.

Un mezzo giro d’Italia.

Raccontaci un po’ di te.

 

Nelle Marche ho vissuto fino a 19 anni, visto che poi mi sono subito spostata a vivere a Milano (dove ho frequentato l’Accademia di belle Arti) e, successivamente, a Londra.

Ho sempre viaggiato molto e vissuto per brevi periodi anche a Madrid e a New York.

A New York vivevano il mio maestro d’arte, Nicolas Carone (uno dei maggiori esponenti della corrente dell’espressionismo astratto, direttore dell’International Art School di New York e grande amico del mercante d’arte triestino Leo Castelli) e anche l’altro artista americano con cui ho collaborato, Al Held.

Li ho conosciuti entrambi  in Umbria, a Todi, dove ho vissuto per vent’anni con il mio primo marito, e i miei due figli più grandi.

A Trieste invece sono arrivata nel 2015, sempre per amore, per seguire Michele, che poi è diventato il mio secondo marito e il papà della mia terza figlia, Bianca.

A Trieste mi è sembrato di tornare alle origini, essendo nata in una città di mare, Ancona.

ùTrieste l’ho sentita subito mia, è una città, bellissima, mai scontata o banale, e me ne sono innamorata. Dal punto di vista del processo creativo, Trieste è un territorio molto fertile per me, c’è il mare, un elemento che favorisce l’introspezione, che mi riporta alla natura delle cose e che mi regala benessere ed equilibrio.

Il tasto dolente è rappresentato dal lavoro: Trieste infatti è una città molto classica e, nonostante ci sia curiosità, non mi garantisce un sufficiente riscontro per il mio tipo d’arte. Mi devo quindi spostare frequentemente a Milano e a Roma (ma anche in altre città), per collaborare con gallerie, spazi espositivi e per partecipare a eventi artistici. Inoltre, da alcuni anni collaboro anche con una galleria di Los Angeles, metropoli dove spero di riuscire ad andare presto.

 

Appassionata di arte e di bellezza in tutte le sue forme.

Quando hai iniziato e da dove nasce questa passione.

 

Credo che questo talento e questa passione mi sia stano state trasmesse da mia madre, che è una bravissima artista figurativa, e che si siano poi rafforzate anche grazie all’influenza di mio fratello maggiore (anche lui disegnatore/fumettista).

Mia madre, inoltre, è anche un’amante dell’arte in generale e una collezionista, quindi sono cresciuta respirando arte in casa, circondata da bei quadri e mobili di design.

Credo che tutto questo abbia influito molto e prodotto in me uno spiccato senso estetico.

Ricordo che già da piccolissima ho iniziato a provare interesse per il disegno, la creazione e la manualità. Disegnavo esercitandomi a ricopiare pupazzi e disegni che mi piacevano, e giocavo spesso con la plastilina, realizzando piccole statuine. Da allora non ho più smesso e per me è come se fosse una droga; ho sempre bisogno di pensare a qualcosa di nuovo da creare, di avere le mani sporche di colori, resina, stucco.

Quando sono presa dalla realizzazione dei miei lavori, potrei anche andare avanti per ore, totalmente rapita (quasi ipnotizzata) da ciò che sto facendo. A volte mi capita di non sentire neanche la stanchezza o la fame.

Oltre all’arte, ho molti altri interessi e sono molto curiosa.

Direi che queste due caratteristiche sono una fonte continua di stimoli e ispirazione. Come già detto, sono molto golosa e mi piace fare dolci.

All’inizio, un po’ per gioco, ho cominciato a farne anche di finti e ora sono diventati uno dei punti di forza delle mie creazioni.

Mi piace molto anche la moda, il design, il cinema e i fumetti e, infatti, varie opere e mostre che ho fatto sono state ispirate da questi miei interessi; vedendo un film, rivisitando pezzi di design, sfogliando riviste di moda da cui ho preso spunti, riproducendo stemmi, logo e simboli dei miei supereroi preferiti, come Superman, Batman e Capitan America, Baby Yoda.

 

Quando hai capito che la tua passione poteva diventare un lavoro? 

Da subito  dopo l’ accademia, anche se  nel tempo il mio lavoro si è modificato.

Ho iniziato con uno stile molto classico,  figurativo, infatti per un lungo periodo quando vivevo in Umbria ho fatto la decoratrice, eseguivo murali e trompe l’oeil su commissione in case e strutture private.

Poi dal 2006 ho cominciato ad appassionarmi al genere astratto (seppur sempre riconoscibile e materico).

Sono sempre in continua ricerca ed evoluzione, il mio lavoro si modifica sempre e, inoltre, sono molto curiosa, quindi nel percorso inserisco sempre degli elementi di novità.

Nell’ultimo periodo però il mio stile si è molto trasformato: amo  di più i colori accesi, faccio più scultura che pittura e il mio stile è diventato molto Pop.

Avendo cambiato stile, si è modificato molto anche il mio tipo di lavoro: raramente eseguo decorazioni d’interni e lavoro quasi esclusivamente con gallerie e spazi espositivi, esponendo le mie opere.

 

Essere artisti oggi è  una scelta coraggiosa.

Scelta che rende liberi di esprimersi e di comunicare senza filtri.

Quali sono i pro e quali sono i contro?

 

Si assolutamente e oltre che coraggiosa attualmente (considerando anche la pandemia) anche molto difficile).

A mio parere i il fatto di essere libera e non avere vincoli di orari, nè nessuno che mi impartisce ordini da eseguire è un un gran lato positivo.

Il rovescio  della medaglia però è che ci sono  periodi in cui sono molto sotto pressione, per esempio quando devo fare mostre o partecipare ad eventi fieristici non ci sono orari, spesso mi ritrovo a lavorare anche fino a tarda notte e non esistono giorni di festa, nè fine settimana.

Anche il fatto di fare ciò che mi piace mi appaga molto, il tasto dolente però è quello del guadagno, nell’arte infatti magari in un giorno si vende guadagnando ciò che in un lavoro normale si guadagnerebbe in un mese, poi però magari per mesi mese non si vende nulla, diciamo che si vive sempre alla giornata, nell’incertezza e nell’’instabilità. Penso però che chi ha questa predisposizione alla creatività e a creare sia comunque molto fortunato, abbia ricevuto un grande dono e a prescindere dai risultati che riuscirà a conseguire sarà comunque un privilegiato nella vita.

A tale proposito, mi viene in mente una frase di Francis Scott Fitzgerald: 

“Il fatto è che quando si è provato l’intensità dell’arte, nient’altro di ciò che può capitare nella vita, sembra oramai importante quanto il processo creativo”. 

 

Fin da subito mi hanno colpito i colori.

Le tue opere sono piene di colori.

E penso che ti rappresentino molto.

 

In realtà questi colori vivaci rappresentano l’ultimo periodo del mio percorso artistico, perché come ho precedentemente spiegato, all’inizio facevo opere molto diverse, quasi esclusivamente pittura e usavo molto i colori della terra, le sfumature di marrone e colori molto più caldi. L’avvicinamento alla scultura e al filone della Pop Art hanno poi favorito l’uso di colori molto più vivaci.

 

Resine, trompe l’oeil, installazioni ( installazioni non va bene. Metti tu quello quello che ritieni più corretto, serve un riferimento ai materiali che usi ).

Qual è la tecnica che preferisci?

 

Si, è vero.

Già altre volte, nel corso di simili interviste, mi è stato fatto notare questo mio spiccato eclettismo. Mi piace cambiare, sperimentare, sono quasi sempre in una continua ricerca, che è ciò mi consente di esprimere liberamente la mia personalità, le mie emozioni. Come molti artisti, ho iniziato dal figurativo (tanto che, su richiesta, eseguo ancora murali e trompe l’oeil), ma da molti anni ormai sono passata all’astratto (se pur sempre leggibile).

Negli ultimi anni prediligo la scultura alla pittura e mi sono avvicinata alla corrente artistica delle Pop-art.

Penso che l’arte figurativa mi vincoli eccessivamente con le sue rigide strutture tecniche (posso dire anche che la trovo noiosa) ed è per questo che amo sperimentare e cambiare, passando dal figurativo all’astrattismo materico e dalla pittura alla scultura, dal genere classico a quello più audace divertente e colorato del filone “Pop”.

Ma, anche se parliamo di tecniche e generi abbastanza differenti tra loro, voglio sottolineare che esiste sempre nelle mie opere una costante e un filo conduttore tra i diversi generi da me utilizzati, che è l’uso della materia.

Infatti, sia nella pittura, sia nella scultura, uso molti materiali, tra cui: lo stucco, la resina, le puntine da disegno e, a volte anche materiale organico (caramelle, cioccolatini, popcorn, marshmallows) che formano una texture in rilievo, che sono solita ricoprire quasi sempre con uno strato di finitura di resina.

 

Le nostre strade si sono incrociate per caso e complice un interesse comune per la psicologia abbiamo iniziato a chiaccherare per non smettere più.

Tu sei Conselour, che dal mio punto di vista è una sorta d’arte.

Come comunicano queste tue due parti?

 

La mia passione principale è l’arte.

Ma ho un certo trasporto ed interesse anche per la psicologia e trovo che ci sia una grande connessione tra l’una e l’altra.

Credo che il ruolo dell’artista sia un po’ come quello dell’innamorato/a e dello psicologo/a: se ti amo (e se ci tengo al tuo benessere), ti devo rendere consapevole delle cose che non riesci a vedere!

E l’artista spesso ha una spiccata sensibilità e riesce a vedere cose che gli altri non vedono e ad andare oltre.

È la fragilità dell’essere umano che m’interessa e per questo in passato nelle mie opere, ho utilizzato molto lo scotch industriale da imballaggio con la scritta fragile, per rendere più esplicito questo bisogno, metafora del mio stato d’animo, manifestato senza negare l’evidenza di una condizione tormentata.

Questo mio tormento  e l’interesse per le fragilità dell’essere umano mi hanno portato circa 15 anni fa ad intraprendere un percorso di crescita e autoconoscenza personale con approccio gestaltico.

Un percorso diverso dalla psicologia convenzionale, un misto di tecniche psicologiche  gestaltiche, creative (introduzione  del teatro e arte terapia) e spirituali con particolare attenzione alla meditazione) che aiuta a conoscere se stessi, in un modo personale e creativo.

Attraverso questo percorso ho imparato ad essere più umana e più vera e conseguentemente ad entrare in empatia con gli altri, poiché è aiutando l’altro che si aiuta se stessi.

 

Sei rappresentata da Gallerie d’Arte Internazionali: da Milano, a Roma a Los Angeles.

Attualmente dove possiamo ammirare le tue opere?

 

Attualmente collaboro con il  NHOW hotel di Milano, con la galleria SpazioCima di Roma e la bG Gallery di Los Angeles (dove spero di poter andare molto presto).

 

Cosa consigli a chi vorrebbe vivere di arte e iniziare un percorso artistico?

 

Per me fare arte e’ come respirare. Tante volte ho pensato di smettere e di fare un altro lavoro, perché è un percorso molto duro a volte anche frustrante.

Ma quando – al pari mio – si sviluppa questa passione, spesso  non si riesce a farne a meno, perciò consiglio di perseguire i propri sogni e le proprie ambizioni  anche facendo dei sacrifici e più lavori all’inizio (se non si riesce a vivere solo d’arte).

Resistere e non abbandonare la propria passione, perché io credo che solo facendo ciò che si ama si riesca ad avere una vita soddisfacente.

Bisogna quindi  armarsi di buona volontà, fiducia, essere tenaci e prepararsi a fare fatica, perché è un percorso molto lungo.

Ma d’altronde mi hanno anche insegnato che nella vita non esistono scorciatoie, nè  la possibilità di raggiungere obiettivi apprezzabili, senza aver fatto prima molta fatica!

 

 

 

 

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Intervista a Maria Elisa Gualandris – Autrice de “Nelle Sue Ossa”

  Ho avuto il piacere di leggere “Nelle sue Ossa”, opera prima di Maria Elisa Gualandris. Sono stata travolta dalle avventure di Benedetta Allegri, giornalista precaria che si occupa di…

 

Ho avuto il piacere di leggere

“Nelle sue Ossa”,

opera prima di Maria Elisa Gualandris.

Sono stata travolta dalle avventure di Benedetta Allegri,

giornalista precaria che si occupa di cronaca nera

per un giornale online sul Lago Maggiore.

Passeggiando la sera sul lungolago

si imbatte in una villa disabitata

dove sono state rinvenute delle ossa umane risalenti a molti anni prima.

Appartengono a Giulia,

ragazza scomparsa nel 1978.

Benedetta inizia ad occuparsi del caso nella speranza

di rilanciare la sua carriera precaria

e si ritrova totalmente coinvolta dalla storia di Giulia.

Nessuno ha mai segnalato la sparizione alla Polizia,

così Benedetta si incaponisce

e decide di renderle giustizia,

scoprendo che la piccola cittadina sul lago

nasconde misteri e segreti.

Contestualmente deve affrontare una serie di problemi personali

tra cui il fidanzato che vorrebbe un rapporto più stabile

e la difficile gestione del fascino che

il commissario Giuliani

– dirigente dalla Squadra Mobile – esercita su di lei.

 

 

 

Edito da Bookabook con il metodo del crowfounding è il libro di esordio dell’autrice.

Maria Elena Gualandris, giornalista professionista, si occupa da sempre di cronaca nera. 

Un programma in radio “Giornale e Caffè” su Rvl La Radio e ” I libri di Meg “,  blog grazie al quale condivide la sua passione per la lettura.

Finalista al concorso “GialloStresa” nel 2013 con il racconto Pesach (Eclissi).

Vive sul Lago Maggiore, dove è ambientato il romanzo.

 

 

 

 

 

Maria Elisa Gualandris è una giornalista professionista che scrive di cronaca nera e giudiziaria. Vive sul Lago Maggiore e ogni mattina conduce il programma “Giornale e Caffè” su Rvl La Radio. Nel 2016 ha creato il blog I libri di Meg per condividere la sua passione per la lettura ed è stata finalista al concorso “GialloStresa” nel 2013 con il racconto Pesach, (Eclissi).

“Nelle sue ossa” è il suo primo romanzo.

 

 

Maria Elisa, dichiaro subito la mia grande curiosità per te e per il tuo romanzo.

E questo per motivi diversi di cui parleremo nel corso di questa intervista.

Giornalista che si occupa di cronaca nera e giudiziaria, un programma in radio e un blog dove parli di libri.

Raccontaci un po’ di te.

        

Grazie, ne sono felice!

Sono una giornalista, collaboro con diverse testate locali, e amo da sempre scrivere e, soprattutto, leggere. Vivo a Verbania, sul lago Maggiore.

Mi sono laureata in filosofia.

 

“Nelle sue ossa” è la tua prima opera letteraria.

Hai deciso di scrivere un romanzo giallo perché conosci bene la materia o per indagare quel lato oscuro che attira tanti ma che pochi hanno il coraggio di affrontare?

 

Il giallo è da sempre il mio genere preferito.

Ne ho letti tantissimi.

Comunque non è stata una scelta, ma mi è venuto proprio naturale scriverne uno.

Sicuramente mi sono orientata su argomenti che conoscevo bene perché per me è sacro il principio secondo il quale è sempre meglio scrivere di ciò che si conosce.

Soprattutto per chi, come me, è alle prime armi con un romanzo.

 

Protagonista del tuo romanzo è Benedetta Allegri, giornalista come te.

Energica, forte, caparbia, una tosta che non molla e non si ferma di fronte a niente.

Cosa vi accomuna? 

 

Sicuramente ci accomunano la curiosità e la passione per questo lavoro. Benedetta, però, è molto più coraggiosa di me. E comunque io ho la fortuna di vivere della mia professione, per Benedetta, invece, la strada è ancora piuttosto in salita.

 

Le ossa della studentessa ritrovate sono frutto della tua fantasia o ti sei ispirata a fatti di cronaca da te trattati?

 

La storia è di mia fantasia.

Però sicuramente sono stata influenzata da casi di cronaca purtroppo avvenuti veramente che mi hanno molto colpita.

Penso, ad esempio, a Lidia Macchi o Elisa Claps.

Vite spezzate troppo presto e famiglie che hanno vissuto il dolore della perdita e che hanno anche dovuto lottare per avere giustizia.

 

Ambientato sul Lago Maggiore che perfettamente si presta come sfondo per un giallo, mi ha particolarmente colpito l’attenzione che dedichi alla descrizione dei personaggi, all’ambientazione ma soprattutto al già citato oscuro lato dell’essere umano. La passione per la scrittura traspare forte e ne sai fare buon uso. Quanto deriva dal tuo essere giornalista e quanto dalla tua sensibilità?

 

Innanzitutto ti ringrazio, ne sono felice.

Credo che la scrittura nasca dalla passione per la lettura.

Credo che il mio lavoro di giornalista mi abbia aiutata nella di sintesi e mi ha costretta  a “pulire” la scrittura.

 

Ormai viviamo su Internet. Costantemente connessi. Scriviamo in codice. La comunicazione ha cambiato totalmente vestito. I libri sono diventati audiolibri. In tutto questo io resto ancorata alla carta perché credo che i libri siano una sorta di terapia, per chi li legge e per chi li scrive. Quanto la scrittura è terapeutica per te?

 

 

La scrittura è per me uno spazio di libertà.

Mi dà la possibilità di staccarmi da tutto, compresi i social, e di immergermi in un mondo in cui tutto può succedere.

 

Tu hai pubblicato con il metodo del crowdfunding tramite la casa editrice Bookabook.

Ci racconti come funziona?

 

Ho inviato il mio manoscritto durante il primo lockdown.

Dopo 15 giorni mi hanno risposto per comunicarmi che avevo superato la preselezione.

Da lì è partita la campagna di crowdfunding: 100 giorni per prevendere 200 copie, cartacee o ebook. Raggiunto l’obiettivo è partito l’iter classico di pubblicazione, con editing, copertina e tutti i passaggi necessari.

 

Benedetta, la protagonista, vivrà nuove avventure? Hai in previsione un seguito de “ Nelle sue ossa” ?

 

Benedetta tornerà, spero, nel 2022. Con una nuova indagine.

 

Hai una nuova storia nel cassetto? Un nuovo romanzo pronto a fare capolino, anche solo nella tua fantasia.

 

Per ora mi sto concentrando sulla seconda avventura di Benedetta.

 

Quali sono le letture che ti hanno ispirato o segnato nella vita?

 

Posso dire che in qualche modo ogni libro che ho letto mi ha ispirata in qualche modo.

Sicuramente tutto è cominciato da piccola, con “Piccole donne” e “Peter Pan”.

Poi ce ne sono stati molti altri: “Delitto e Castigo”, “Madame Bovary”, “I promessi sposi”, “La Storia”, solo per citarne qualcuno.

 

 

 

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Osteopatia. Intervista alla Dott.ssa Silvia Gitto

  An osteopath is only a human engineer, who should understand all the laws governing his engine and thereby master disease. Andrew Taylor Still, fondatore dell’osteopatia      Prima di…

 

An osteopath is only a human engineer, who should understand all the laws governing his engine and thereby master disease.

Andrew Taylor Still, fondatore dell’osteopatia 

 

 

Prima di diventare un’ addicted dell’osteopatia pensavo fosse una pratica new age,

quasi magica,

di quelle che si attuano con musica di sottofondo,

nuvole di incenso che avvolgono come la nebbia della Padania,

frasi modello rituale da ripetere ad libitum.

Ebbene, niente di tutto ciò.

Ho avuto la fortuna di inciampare nella Dott.ssa Silvia Gitto per caso,

tramite un’amica comune,

e da quel giorno non l’ho lasciata più.

Ma soprattutto ho provato,

apprezzato e finalmente capito l’importanza dell’osteopatia per l’equilibrio tra il corpo,

la mente e lo spirito.

Alle domande ricorrenti di amici, parenti, conoscenti, clienti, curiosi in genere

riguardo al mio nuovo amore per l’osteopatia

rispondo sempre in maniera vaga,

poco incisiva,

a tratti nebulosa ( come l’incenso di cui sopra! )

quindi ho deciso di raccoglierle tutte e girarle direttamente a lei.

Questa intervista è nata tra un trattamento e l’altro,

in mezzo ad un lockdown che cambia colore come una doccia di cromoterapia,

grazie alle vostre domande precise e alle mie risposte monche.

Se poi vi appassionate e vi volete far trattare

o se venite travolti da dubbi e perplessità,

potete contattarla direttamente e scambiare quattro chiacchere con lei.

 

La trovate qui:

 

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Silvia, finalmente ci siamo! Iniziamo in maniera soft: raccontaci di te. 

Sono Silvia Gitto, Osteopata, Chinesiologa e Insegnante di scienze motorie e sportive!

Il mio primo amore è sicuramente lo sport! Sono una pallavolista, ormai ex, ma sportivi si rimane anche quando ci si allontana dai campi di gioco. L’amore per lo sport mi ha portata ad iscrivermi alla facoltà di Scienze motorie. Dopo la laurea triennale ho deciso di completare il mio percorso di studi specializzandomi in Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattate. Questo, ad oggi, mi ha permesso di poter insegnare Scienze motorie, lavoro che amo molto perché credo che dal punto di vista educativo lo sport aiuti molto nella crescita, nell’educazione e nella formazione di un ragazzo.

Contemporaneamente all’amore per lo sport, cresceva in me la passione per il corpo umano, in ogni sua parte. Durante le mie esperienze sportive conobbi l’Osteopatia e compresi subito che tutto ciò che avrei voluto essere era racchiuso in questa professione.

Il concetto di salute negli anni è sicuramente cambiato: non si fa più riferimento all’ assenza di malattia ma di benessere psicofisico e sociale. Per questo motivo anche il mio approccio alla salute ha subito un cambiamento e, nella speranza di imparare ad aiutare qualcuno, mi sono iscritta al corso di Osteopatia.

 

Io dichiaro subito la mia ignoranza in materia di Osteopatia. Sono entrata in contatto con te grazie ad un’amica comune che mi ha raccontato cose meravigliose della pratica e dei suoi benefici perciò parliamone un po’. Quando, dove, perché nasce? 

L’Osteopatia nasce negli Stati Uniti alla fine dell’800 grazie ad A.T. Still. Arrivò poi in Europa, in Gran Bretagna, grazie a Littlejohn. Still, padre dell’osteopatia, fu tra i primi a capire le relazioni fra l’equilibrio funzionale delle strutture corporee e la salute.

Egli comprese che l’equilibrio proprio della salute passa attraverso l’equilibrio della struttura osteoarticolare, in relazione all’armonia del sistema nervoso, muscolare e circolatorio. 

“Non ritengo esser l’autore di questa scienza, nessuna mano umana ne ha disposto le sue leggi; non chiedo onore più grande che averla scoperta”¹, anche perché “i principi meccanici su cui l’Osteopatia si basa sono vecchi quanto l’universo.” “Non cito autori ma il Dio e l’esperienza.”

Cito queste frasi di Still proprio per far comprendere come l’osteopatia divenne per lui e per i suoi seguaci un simbolo di riforma medica, di una scienza che avrebbe spostato l’attenzione della medicina tradizionale sul “lavoro perfetto del Creatore”, in quanto essa agiva in favore dei meccanismi naturali del corpo, facilitandone le funzioni normali e riparatrici, e non contro di loro, come invece sembrava facessero alcuni farmaci utilizzati in quel periodo.

 

Perché hai scelto di diventare Osteopata?

Durante la mia carriera sportiva ho subito diversi infortuni, tra questi il più importante è stato un infortunio alla schiena che mi ha tenuta lontana dai campi di gioco per più di un anno.  A soli 16 anni mi sono ritrovata a dover sentire frasi come “non potrai più giocare”, “è ora di appendere le scarpe al chiodo”. Avevo visto veramente tante figure appartenenti alla medicina tradizionale (ortopedici, fisiatri, fisioterapisti). Finchè non incontrai Lui, un Osteopata, il quale mi rassicurò dicendomi di avere pazienza. Dopo un anno tornai in campo e continuai a giocare per altri 10 anni. Lì ho capito che aiutare qualcuno a riequilibrare il proprio organismo per ritrovare lo stato di salute ottimale sarebbe stato il mio sogno.

 

Questa è una domanda ricorrente, ne sono sicura, ma è la più gettonata: qual è la differenza tra il fisioterapista e l’Osteopata?

Bella domanda! Ti confermo che è la più gettonata! Premetto di non essere una fisioterapista e spero che nessuno, appartenente alla categoria, si offenda.

Il fisioterapista spesso interviene per curare la sintomatologia conseguente ad un trauma, un intervento chirurgico con lo scopo di riabilitare e ripristinare una funzione alterata della zona colpita utilizzando manipolazioni ma anche apparecchiature elettromedicali utili al percorso riabilitativo del paziente.

L’osteopata, invece, non si sofferma esclusivamente alla zona che presenta il sintomo, al dolore singolo e locale, ma considera il corpo del paziente nella sua globalità, analizzando i vari sistemi che possono perturbare l’omeostasi del paziente cercando, attraverso l’uso esclusivo delle mani, di ripristinare la mobilità delle zone valutate favorendo i processi di autoguarigione e autoregolazione del corpo.

Sono due professioni diverse ma complementari pertanto credo in molti casi risulta vantaggiosa una collaborazione tra le due figure con l’unico scopo di aiutare il paziente a ritrovare, nel minor tempo possibile, il suo stato di benessere fisico e mentale.

 

Qual è il percorso da seguire per diventare Osteopata?

In Italia l’Osteopatia è riconosciuta come professione sanitaria da Dicembre 2017, purtroppo però non è ancora stato stabilito l’iter universitario da seguire per diventare osteopata. Al momento esistono le scuole di alta formazione in Osteopatia, appartenenti all’AISO, ed io ho frequentato una scuola di 6 anni, diplomandomi Dottore in Osteopatia (D.O.) all’Osteopathic College di Trieste. Adesso il percorso di studi è ridotto a 5 anni in attesa dell’ultimazione della regolamentazione e quindi la nascita del Corso di Laurea in Osteopatia.

 

Si possono trattare le donne in gravidanza ed i bambini?

Assolutamente sì! Per quanto riguarda la donna in gravidanza è importantissimo trattarla per riequilibrare il corpo in vista del parto. Il periodo più delicato è sicuramente il primo trimestre durante il quale avviene l’attecchimento. È possibile effettuare trattamenti osteopatici cercando di non mobilizzare troppo le strutture che possono disturbare questo delicato processo. Nel secondo e terzo trimestre l’osteopatia è un valido alleato per aiutare i disturbi che possono insorgere durante la gravidanza come ad esempio nausee, reflusso, difficoltà digestive, stitichezza, mal di testa, lombalgie e pubalgie (derivate spesso da tensioni uterine).

Nella fase preparto è fondamentale verificare la mobilità della regione pelvica quindi il bacino, i legamenti uterini, riequilibrare i diaframmi del corpo (toracico, cranico e pelvico) fondamentali per la fase di spinta durante le contrazioni.

È molto importante trattare la neomamma anche nel post-partum perché il corpo subisce un rapido cambiamento aiutando la donna a recuperare più velocemente le normali funzioni del corpo.

Anche per quanto riguarda i bambini, l’osteopatia è molto efficace ma se si vuole agire sulla prevenzione bisogna trattare il neonato, pochi giorni dopo la nascita. L’osteopata ricerca, attraverso l’uso esclusivo delle mani, delle restrizioni di mobilità (disfunzioni osteopatiche) che potrebbero influire sullo sviluppo futuro del bambino. Per il bambino si può ricorrere all’osteopatia in presenza di colichette, reflusso, rigurgito, insonnia, difficoltà di suzione, irrequietezza, asimmetrie cranio-facciali, otiti o infezioni respiratorie frequenti.

 

Raccontaci come si svolge una seduta? Quali patologie/problemi può curare e con che frequenza vengono eseguiti i trattamenti?

La seduta osteopatica è caratterizzata da 3 fasi, una prima fase anamnestica in cui si raccolgono le informazioni relative alla storia del paziente indagando sia eventi prossimi che remoti utili alla valutazione globale del paziente. Successivamente viene effettuata una valutazione osteopatica mediante dei test per comprendere la natura della restrizione di mobilità che può provocare dolore nel paziente; si elabora un razionale di trattamento che non sempre correla la localizzazione del dolore alla zona trattata in quanto considerando l’organismo nella sua globalità si tiene conto, oltre al motivo di consulto, anche di tutte le altre sintomatologie riferite durante la raccolta delle informazioni. Infine la seduta si conclude con delle indicazioni finali inerenti al motivo di consulto e alle restrizioni di mobilità riscontrate durante la valutazione e il trattamento.

 

Con l’Osteopatia posso curare solo le tensioni muscolari o anche lo stress emotivo?

Le emozioni sicuramente condizionano l’organismo nella sua totalità. Infatti, a parte le tensioni muscolari, a livello viscerale è presente una relazione tra l’organo e un’emozione. Quindi anche la sintomatologia organica può essere intesa come un messaggio che il corpo ci manda oppure una stimolazione emozionale che continua a ricevere. Quindi può aiutare l’aspetto emotivo del paziente, se necessario anche in collaborazione con figure specializzate come psicoterapeuti.

 

Parliamo di emozioni. Dalla tua esperienza ritieni che l’equilibrio emozionale incida su quello posturale e, se ciò è vero, in che modo il trattenere le emozioni senza lasciarle fluire provoca problemi al corpo?

Secondo la mia esperienza come ho affermato precedentemente, le emozioni trattenute si insediano nel nostro organismo e, se non siamo in grado di gestirle e lasciarle fluire, a lungo andare il nostro corpo potrebbe lanciarci dei messaggi, dei campanelli d’allarme, che corrispondono a richieste di aiuto da parte dell’organismo. È quindi fondamentale ascoltare il proprio corpo e riconoscere se questo ci sta inviando dei messaggi.

 

L’osteopatia rappresenta un approccio nuovo e olistico alla salute dell’individuo nel suo complesso. Purtroppo però viene ancora da molti considerata una mera tecnica pratica per rimettere a posto un singolo problema fisico che si manifesta. Quanto ritieni importante nella tua professione considerare l’individuo in senso globale e quanto ciò ti aiuta ad ottenere risultati concreti e duraturi per il benessere del paziente?

L’osteopatia ha un approccio globale proprio nel rispetto del paziente. È questo che la differenzia da altri approcci. Per spiegarne l’importanza, ad esempio un dolore lombare potrebbe essere conseguenza di un colpo di frusta subito 10-20 anni prima e questo potrebbe aver provocato un blocco del sistema cranio sacrale. Pertanto risulta necessario valutare non solo il sistema strutturale, che potrebbe essere totalmente libero, ed agire invece sul riequilibrio cranio sacrale o in altri casi viscerale per correlazioni neurologiche. Quindi per me è fondamentale approcciare globalmente al paziente proprio per valutarne la totalità.

 

Spesso si cerca una professionista che opera nel tuo campo a seguito di un chiaro problema di salute fisica il più delle volte correlato a dolori del sistema osteomuscolare. E’ questa una modalità che condividi o ti sentiresti di suggerire sedute non finalizzate alla guarigione ma piuttosto alla “prevenzione”?

L’osteopatia è fondamentale dal punto di vista preventivo, però non sempre il paziente adotta questa modalità più che altro per una questione di tempo. Sicuramente riequilibrare l’organismo permette di evitare l’insorgenza di problematiche che poi possano sfociare in dolori acuti. Il sistema osteomuscolare, in osteopatia rientra all’interno del sistema strutturale, è solo uno dei 3 sistemi che costituiscono il nostro organismo e sui quali si basta l’osteopatia. Pertanto l’equilibrio del sistema strutturale, viscerale e cranio sacrale concorrono insieme al mantenimento dell’omeostasi corporea.

 

Quante volte al mese è bene che un paziente sia trattato da un osteopata? Dipende dalla situazione riscontrata o ci sono delle valutazioni generali che valgono per tutti al fine di garantire il mantenimento di un buon equilibrio del proprio corpo?

L’osteopatia è molto importante dal punto di vista preventivo, quindi valutare il paziente anche una volta ogni 1o2 mesi permette di evitare che le disfunzioni presenti possano cronicizzarsi e dare, a lungo andare, sintomatologie più importanti, alterando l’equilibrio del sistema. Nel caso in cui invece il paziente presenta già una sintomatologia è bene valutarne l’entità ed avere dei feedback dal paziente per comprendere come il suo organismo reagisce al trattamento. Ogni individuo è unico ed è per questo che non esiste un numero di sedute minimo per la risoluzione di una condizione di disagio per il paziente ma sicuramente è bene effettuare trattamenti con almeno 3 settimane di distanza per dare il tempo all’organismo di riadattarsi al nuovo equilibrio.

 

C’è una parte del corpo che ‘se curata’ può dare più sollievo tra corpo e mente?

Il diaframma è senz’altro una zona fondamentale del nostro organismo sia dal punto di vista mentale che fisico. Viene definito muscolo della serenità ed è per questo che, essendo una zona orizzontale del nostro organismo è sicuramente un punto di equilibrio osteopatico molto importante

 

Durante la prima visita, in genere, un osteopata si informa sulla storia clinica del paziente valutando traumi passati, interventi subiti, problemi di salute cronici. Perché queste informazioni sono così preziose per il vostro intervento sulla persona?

 

La storia clinica del paziente è fondamentale per comprendere al meglio le sue origini e la sua storia. Ad esempio alcuni traumi potrebbero aver condizionato l’omeostasi (equilibrio) dell’organismo provocando degli adattamenti anche a distanza e quindi sarà necessario individuare la causa principale che può, nel tempo, provocare adattamenti posturali o dolori riferiti. Quindi è fondamentale indagare sia i traumi recenti che quelli remoti per individuare la causa della problematica e cercare di rimuoverla, per consentire al proprio organismo di esprimere al meglio la propria funzione autoregolatrice e riparatrice.

 

 

 

 

 

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Una Storia Straordinaria – Intervista a Diego Galdino

    Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo. Federico Fellini   Che io sia una lettrice accanita è cosa nota. Che fare domande sia una delle mie passioni…

 

 

Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo.

Federico Fellini

 

Che io sia una lettrice accanita è cosa nota.

Che fare domande sia una delle mie passioni è altrettanto noto.

Che chiaccherare con l’autore mi piaccia tanto quanto

( forse anche di più )

leggere lo sapete tutti ormai.

 

Ed eccoci qui a parlare di ” Una Storia Straordinaria “ con Diego Galdino.

Una storia d’amore e di dolore, di cadute e di risalite, di forza e di rinascita.

E si sa che, quando si parla di rinascita, vengo colpita e affondata che,

nonostante sia l’ultima dei non romantici,

alle rinascite ho dovuto piegarmi.

Quando succede,

del tutto inaspettatamente,

tocca accettare di non essere immuni

ma soprattutto certe cose non sono spiegabili.

Possiamo interpellare la chimica, la magia, il destino, il fato.

Certo è che sono le emozioni a muovere il mondo.

Emozioni che si provano, anche, leggendo un libro.

 

 

Diego Galdino vive a Roma, autore, non solo di romanzi, ma anche dei più fantasiosi caffè della capitale.

Definito da Il Messaggero il Cindarella Man della letteratura, è tradotto in molti paesi europei e del suo romanzo d’esordio ” Il Primo Caffè del Mattino ” sono stati venduti i diritti cinematografici in Germania.

 

 

 

 

 

Sono abituata ad iniziare con le domande inerenti al libro e a finire parlando della storia dell’autore ma con te vorrei fare il contrario perchè ho riscontrato delle similitudini nel nostro percorso – cosa che raramente mi accade ma di cui spesso mi viene chiesto – perciò colgo la palla al balzo per dare libero sfogo alle domande.

Dall’attività commerciale di famiglia alla scrittura il passo non è breve.

Cosa ti ha portato a scrivere?

 

Sicuramente l’amore, la voglia di raccontare la mia storia d’amore, una storia d’amore finita male, anzi forse mai iniziata, se non nel mio cuore e nella mia testa. Ho usato la scrittura come un confidente, come se dicessi senza filtri, senza paura quello che sentivo prorompere dal mio io più profondo, seguendo alla lettera nel vero senso della parola il principio del movimento romantico per eccellenza…Sturm und drang, tempesta e impeto…

 

 

 

Ho letto del tuo viaggio di un giorno partendo da Roma passando attraverso la Cornovaglia per arrivare a Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, fino alle scogliere di Land’s End e mi sono commossa.

Un po’ perché sono una viaggiatrice seriale ma soprattutto per il motivo che ti ho portato fino a lì.

Mi piacerebbe che tu ce lo raccontassi, perché sono convinta che tutti abbiamo bisogno di ricordarci che sono le emozioni ed i sentimenti a muovere il mondo ( o a farci muovere nel mondo! ).

 

 

Ho iniziato a scrivere molto tardi, ma poi non ho più smesso. Per me la prima storia che ho scritto resta indimenticabile perché è nata in un modo particolare e per merito di una ragazza a cui sono stato molto legato…Un bel giorno mi mise in mano un libro e mi disse: «Tieni, questo è il mio romanzo preferito, lo so, forse è un genere che piace più alle donne, ma sono certa che lo apprezzerai, conoscendo il tuo animo sensibile». Il titolo del romanzo era Ritorno a casa di Rosamunde Pilcher, e la ragazza aveva pienamente ragione: quel libro mi conquistò a tal punto che nelle settimane a seguire lessi l’opera omnia dell’autrice. Il mio preferito era I cercatori di conchiglie. Scoprii che il sogno più grande di questa ragazza di cui ero perdutamente innamorato era quello di vedere di persona i posti meravigliosi in cui la Pilcher ambientava le sue storie, ma questo non era possibile perché un grave problema fisico le impediva gli spostamenti lunghi. Così, senza pensarci due volte, le proposi: «Andrò io per te, e i miei occhi saranno i tuoi. Farò un sacco di foto e poi te le farò vedere». Qualche giorno più tardi partii alla volta di Londra, con la benedizione della famiglia e la promessa di una camicia di forza al mio ritorno. Fu il viaggio più folle della mia vita e ancora oggi, quando ci ripenso, stento a credere di averlo fatto davvero. Due ore di aereo, sei ore di treno attraverso la Cornovaglia, un’ora di corriera per raggiungere Penzance, una delle ultime cittadine d’Inghilterra, e le mitiche scogliere di Land’s End. Decine di foto al mare, al cielo, alle verdi scogliere, al muschio sulle rocce, al vento, al tramonto, per poi all’alba del giorno dopo riprendere il treno e fare il viaggio a ritroso insieme ai pendolari di tutti i santi d’Inghilterra che andavano a lavorare a Londra. Un giorno soltanto, ma uno di quei giorni che ti cambiano la vita. Tornato a Roma, lasciai come promesso i miei occhi, i miei ricordi, le mie emozioni a quella ragazza e forse le avrei lasciato anche il mio cuore, se lei non si fosse trasferita con la famiglia in un’altra città a causa dei suoi problemi di salute. Non c’incontrammo mai più, ma era lei che mi aveva ispirato quel viaggio e in fin dei conti tutto ciò che letterariamente mi è successo in seguito si può ricondurre alla scintilla che lei aveva acceso in me, la voglia di scrivere una storia d’amore che a differenza della nostra finisse bene e poi non ho più smesso fino ad arrivare a Il primo caffè del mattino…

 

 

Il tuo primo romanzo ” Il primo caffè del mattino ” è del 2013 ( non l’ho ancora letto ma da oggi è nella mia lista ) ed è stato definito un caso letterario.

Da lì non ti sei più fermato.

Oggi ti pubblicano in Germania, Austria, Svizzera, Polonia, Bulgaria, Serbia, Spagna e Sudamerica.

Come nasce un tuo romanzo?

Hai uno scrittore di riferimento?

 

I miei romanzi nascono tutti alla stessa maniera. Il filo conduttore della storia è un gomitolo con cui giocano la mia fantasia ed il mio cuore quasi fossero le zampe di un gatto che lo spingono in avanti correndogli poi dietro… Questo gomitolo parte e l’intreccio narrativo si dipana nella mia testa, senza fermarsi mai se non tra le pagine scritte del mio libro. Il mio punto di riferimento letterario è sempre stata Jane Austen e il suo romanzo Persuasione che è il mio libro del cuore. Come lei scrivo cercando di rendere leggendario l’ordinario.

 

 

Finalmente parliamo di ” Una storia straordinaria “.

All’interno del libro affronti una moltitudine di temi con la leggerezza di una carezza.

Penso alla perdita della vista di Luca, il protagonista.

Credi che la nostra società sia pronta ad accettare la diversità come ha saputo fare Silvia e che davvero il destino di ognuno di noi sia già scritto?

 

 

Non lo so se la nostra società sia pronta ad accettare la disabilità. Io credo che ogni persona viva i propri sentimenti arbitrariamente e si rapporti di conseguenza al mondo che la circonda. Noi siamo la società e se essa ancora non accetta la disabilita vuol dire che sono di più le persone che non si fidano dei sentimenti che quelle che si fidano. Io credo nel destino, ma credo anche che se il protagonista del film Serendipity non fosse entrato in ogni libreria di libri usati per sfogliare la copia de L’amore ai tempi del colera sperando di trovare il numero scritto da Sara, il destino non l’avrebbe ricompensato. È sempre una questione di fede… Nel destino, nell’amore.

 

 

Affronti il tema del “superare il trauma” da prospettive diverse.

Silvia, una donna aggredita – ahimé tema molto attuale! – che continua a vivere con la paura che non l’abbandona mai e Luca che si ritrova disabile e che lavora per modificare la sua vita fino a rinascere nuovamente, anche grazie a lei.

Credi ci siano delle differenze tra disabilità fisiche, ovvero presenti oggettive tangibili e traumi subiti, che sopravvivono ancora nella nostra testa ma che all’esterno non sono visibili?

Alla fine, in entrambi i casi, si rischia di vivere una vita limitata, a metà.

 

 

Forse le ferite dell’anima sono più dolorose e trancianti di quelle fisiche. Perché nel caso di Luca e della sua improvvisa cecità entra in gioco l’istinto di sopravvivenza che materialmente ti porta a reagire con i fatti per superare le oggettive difficoltà. Lui lo sa che non potrà più guardare le persone che ama, la sua città, i film, la cecità non lo coglie alle spalle, l’affronta sul campo di battaglia della vita faccia a faccia. Il nemico di Silvia è meschino, infido, si nasconde tra le pieghe della paura è un terrorista che ti colpisce quando meno te l’aspetti e ti lascia nell’impotenza di ignorare quando e dove tornerà a colpirti. Per assurdo tra i due è più Silvia che ha bisogno di Luca e non il contrario.

 

 

L’amore che abbatte i muri, che distrugge le corazze che con fatica e precisione certosina ci costruiamo per difendere la parte più intima di noi ma soprattutto la rinascita grazie ad una persona che ci completa.

Puro romanticismo da romanzo o pensi esista davvero qualcosa di così forte, capace di stravolgere la vita?

 

 

L’amore quello vero ti rende coraggioso, capace di qualsiasi cosa, sprezzante del pericolo, si dice sono innamorato pazzo… L’amore ti rende imprevedibile ed è tutto lì…Chi è innamorato non è mai scontato, non è ordinario o ripetitivo… Un giorno è Romeo, un giorno vive sulle cime tempestose, un giorno ha le sue cinquanta sfumature di grigio, di nero, di rosso, ma soprattutto di rosa. Con un innamorato non ti annoi mai… perché lui cambia in meglio tutto, le tue giornate, la tua vita, restando sempre se stesso…innamorato di te.

 

 

È un libro che parla di sensi e di “sentire”. 

Un libro che colpisce e destabilizza perchè non c’è solo amore ma ci sono anche dolore, rabbia, paura.

Credi siamo veramente capaci di vivere e di sentirci profondamente senza passare attraverso il dolore?

 

Io credo che non si debba per forza soffrire per sentire l’amore. In realtà l’amore dovrebbe servire a farci stare sempre allegri e con il sorriso sulle labbra. L’amore è una bilancia che su un piatto pesa la felicità e sull’altro la tristezza e il piatto con sopra la felicità deve lasciare l’altro sospeso a tre metri sopra il cielo.

 

 

La passione che unisce Luca e Silvia è il cinema.

All’interno del romanzo ci sono parecchie citazioni, sia cinematografiche che musicali.

Quanto di te e della tua storia straordinaria c’è nel libro?

 

A parte la cecità e Silvia… Tutto.

 

 

Io quando scrivo non posso fare a meno della mia playlist, che varia a seconda del momento ma soprattutto del mio “sentire”.

Una Storia Straordinaria ne ha una?

 

Beh… Certamente tutte le musiche di Yiruma fanno parte della colonna sonora del libro che inizia con Silvia lo sai di Luca Carboni e finisce con C’era una volta in America di Morricone.

 

 

A Roma…

Eterna come l’amore?

O semplicemente una dichiarazione d’amore alla tua città?

 

 

Rispondo come fece la Principessa Anna nel film Vacanze Romane…”Roma è Roma.”

 

 

Avrei ancora un milione di domande da farti perché il tuo libro raccoglie emozioni, sentimenti, passioni, vita vissuta.

Io l’ho usato come terapia, per andare ad illuminare alcuni angoli di me stessa che ho volutamente lasciato al buio per anni.

Non ti dirò cosa ne è uscito così, al prossimo romanzo ed alla prossima intervista, sapremo da dove partire 😉

 

Grazie per averci raccontato una storia leggera come dovrebbe essere la vita ed intensa come dovrebbe essere l’amore.

 

 

 

 

 

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La Natura Interiore – Intervista a Marco Pangos

  Confesso fin da subito che in materia di ecologia ed ambiente sono parecchio ignorante. Ignoro, ma cerco comunque di tenere dei comportamenti sani e funzionali all’ambiente. Spesso, però, con…

 

Confesso fin da subito che in materia di ecologia ed ambiente sono parecchio ignorante.

Ignoro, ma cerco comunque di tenere dei comportamenti

sani e funzionali all’ambiente.

Spesso, però, con pessimi risultati.

 

Ho avuto un fidanzato che non faceva che riprendermi per i miei comportamenti poco ecologici:

per la troppa acqua consumata per la mia routine di bellezza giornaliera,

per i mozziconi di sigaretta gettati nell’indifferenziata,

per la luce dimenticata accesa in camera,

per le troppe lavatrici.

L’unica alternativa possibile è stata cambiare fidanzato

e cercare un manuale che mi spiegasse come approcciarmi al problema,

per riempire i miei buchi neri.

 

Ecco che arriva Marco Pangos:

psicologo dello sviluppo, psicoterapeuta e Gestalt Counsellor, 

già autore di ” 1980 ” e ” I 3 tipi di ribellione adolescenziale “,

che pubblica questo manuale contenente le 10 azioni utili a sviluppare

la propria intelligenza ecologica e a ridurre l’inquinamento psicofisico.

Che il libro l’abbia letto in un pomeriggio non serve che ve lo dica,

tanto ormai avete capito che quando decido di intervistare un autore significa che è amore.

Appuntamento davanti ad uno spritz guardando il mare,

chiaccherando di vita,

di psicologia,

di ecologia,

del suo nuovo libro.

 

 

 

Partiamo dalla prima cosa a cui ho pensato leggendo ” La Natura Interiore “.

Il collegamento psicologia – ecologia.

Sembrano realtà molto distanti finchè non si legge il tuo libro.

Come e perchè hai deciso di scriverne.

 

Sono stato letteralmente folgorato leggendo il libro di Daniel Goleman, “Intelligenza Ecologica” e mi sono reso conto di quanto fossi…poco intelligente!
Ho riflettuto molto su come implementare prima la mia di intelligenza ecologica, poi però mi sono accorto anche di quanto questa funzione cognitiva sia estranea alla gran parte delle persone.
Scrivo per cercare di fermare alcuni concetti chiave per me stesso, poi se qualcuno vorrà far sue le mie indicazioni, ne sono lieto.
In tutto questo, credo che anche noi psicologi possiamo, e dobbiamo, dare il nostro contributo su queste tematiche così importanti. 

 

 

C’è tanto di psicologico nella nostre scelte poco ecologiche e me ne sono resa conto leggendo il tuo libro.

I colori vintage sulle confezioni  per esempio.

Perchè mi sento parte in causa facendo parte di quelle persone che vengono inspiegabilmente attratte dalle confezioni o dalle copertine.

Vittima perfetta dei geni del marketing.

Credo accada perchè certe immagini e certi colori siano confortanti e alla fine tutti noi abbiamo bisogno di una comfort life.

 

Noi tendiamo alla comodità, e questo è un aspetto che esamino in modo particolare nel libro.

Bisogna modificare le nostre innumerevoli abitudini, soprattutto quelle tossiche per la nostra salute e per quella del nostro ambiente.

E’ un lavoro difficile, me ne rendo conto, ma è necessario se vogliamo vivere veramente liberi.

Per quanto riguarda l’essere vittima del marketing o dei pubblicitari, beh…lo siamo un pò tutti.
Nel libro spiego alcuni trucchetti che vengono usati per indurci a desiderare ed acquistare cose delle quali non abbiamo nessun bisogno.
Cadiamo in questo genere di tranelli perché siamo disconnessi alla nostra natura interiore, diventando delle vere e proprie ‘vittime consumiste’.

 

 

” Se lo desideri, l’universo te lo regala ” lasciamoglielo agli imbonitori scrivi nel libro.

Ma per riuscire a cambiare i nostri comportamenti dobbiamo crederci, soprattutto quando dobbiamo cambiare radicalmente le nostre abitudini.

 

Quello è un motto della cultura new age.
Non basta desiderare o credere alla favola che ciò che abbiamo ce l’ha dato l’universo.
Per ottenere dei risultati bisogna agire, nessun universo muoverà un solo dito al posto nostro!

 

 

Il coccodrillo a rappresentare i nostri istinti.

Il coccodrillo come indice di vitalità.

Raccontaci del TUO coccodrillo.

 

Il mio coccodrillo è una specie di bussola che mi indica quale direzione è bene che scelga.

Seguire la rotta che egli mi indica mi conferisce un senso di pienezza ed appagamento.

Non sempre riesco ad ascoltarlo, anch’io mi perdo nelle distrazioni del quotidiano, ma quando lo ascolto realmente, sento qualcosa vicino alla felicità.

Poi si può sbagliare strada, commettere errori e via dicendo, ma questo fa parte del gioco della vita. 

 

 

Il verde inteso come Natura.

Come ombra.

Come energia.

Come bellezza.

Come valore.

Hai portato come esempio una città vicina a noi che ha trasformato centinaia di mq di cemento in un parco verde.

 

Per diventare più “green” non ci vuole poi tanto.

Chi sta seguendo questa strada, comprende nell’immediato quali e quanti siano i vantaggi, sia in termini di salute che economici.

Il verde attrae il turismo per esempio, dunque molti soldi per i territori.

Ma il verde abbassa l’aggressività, ripulisce l’aria, abbatte l’inquinamento acustico, crea nuovi spazi per l’incontro tra le persone…

Ho letto che il Governo italiano chiederà all’Europa un miliardo per piantare un milione di alberi: mille euro ad albero, un’enormità!
Basterebbe non tagliarli e risparmieremmo tutti un sacco di quattrini.
Ma per farlo bisogna essere ecologicamente intelligenti! 

 

Chiudi il libro con una frase che mi ha colpito molto.

” Gli esseri intelligenti sono quelli in grado di scegliere per il loro benessere e se siamo in connessione con la nostra Natura Interiore, scopriremmo che il nostro benessere si allinea perfettamente sia a quello collettivo che a quello ambientale “

 

Quello che ancora mi colpisce quando lavoro con i miei pazienti, è che quando ci si connette alla propria natura interiore, essa si allinea alla stagionalità riallineandosi con l’ambiente esterno.

Nel libro cito l’esempio del cibo e delle voglie fuori stagione come indice di disconnessione al proprio sé e alla natura.

Desiderare fragole a gennaio o castagne in marzo è molto comune oggigiorno, ma ecologicamente non è un buon indicatore.

 

Chiudiamo parlando del respiro, che tu ben sai quanto sia un discorso che mi appartiene.

Il respiro come consapevolezza di se stessi, come nutrimento, come vita, come ponte con l’ambiente esterno e con le persone che ci circondano.

Esistono dei collegamenti inspiegabili tra respiri di persone diverse che mettono a tacere il brusio dei pensieri ed i rumori intorno.

Quanto è importante prenderne coscienza e allenarlo per poter vivere appieno?

 

Una buona respirazione è indice di buona salute.

Seguendo  il percorso dell’aria che entra dentro il nostro corpo, riusciremo a trovare la profondità di noi stessi: la nostra anima.

E quando siamo a contatto con essa, riusciamo anche a contattare quella delle persone che ci stanno accanto.

 

 

 

 

 

 

 

Se volete sapere un pò di più di Marco, cliccate qui:

Guida Psicologi

 

e seguitelo sulla sua pagina

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